di Giulio Lughi, Esperto di Digital Humanities
L’immersività applicata all’arte e alla cultura sta suscitando grande interesse nel pubblico generalista e negli ambienti specialistici: nel mio intervento a LuBeC 2021 (https://bit.ly/3GMFVXt) ho cercato di inquadrare il fenomeno in una prospettiva culturale di lungo periodo.
Occorre risalire al concetto di Opera Totale, che indica un’opera d’arte in grado di coinvolgere tutti i nostri sensi: la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto, al limite anche il gusto, replicando la completezza emozionale che si prova nei rapporti faccia-a-faccia.
Concetto che descrive perfettamente le più recenti Esperienze di Arte Immersiva ma che in realtà percorre tutta la nostra storia culturale, dall’antichità classica a Richard Wagner – che ha riconfigurato l’opera lirica fondendo insieme testo, musica, scenografia e prestazioni attoriali – fino a quasi tutte le avanguardie storiche del Novecento.
Il digitale spinge ulteriormente sulla strada dell’unità emozionale dei mezzi espressivi, aprendo al concetto di Reincanto Tecnologico: un concetto che riprende – rovesciandolo – uno spunto elaborato nel 1919 da Max Weber il quale, analizzando le conseguenze culturali dell’età industriale, parla di “disincanto” intendendo la perdita di fascinazione e magia che l’eccessiva razionalizzazione, burocratizzazione, parcellizzazione dell’età industriale ha portato nella vita civile. L’ipotesi del Reincanto Tecnologico intende quindi ribaltare l’idea weberiana di “disincanto”, identificando nella tecnologia digitale – e nella sua complessità – lo strumento in grado di unificare i linguaggi espressivi e puntare alla realizzazione dell’Opera Totale emozionale.
In un libro del 2015 (https://bit.ly/3CQPJ0k) ho inserito il concetto di Reincanto Tecnologico in quello più ampio di Creatività Digitale, mettendo in rilievo il fatto che questa – a differenza della creatività pre-digitale, tutta mentale e individuale – è caratterizzata da una forte componente operativa, sistemica e istituzionale, basata sulla convergenza e collaborazione di professionalità e competenze diverse: un approccio che oggi è rintracciabile anche nella proposta della Commissione Europea di un New Bauhaus (https://bit.ly/3CLaQRC), finalizzato a far dialogare cultura e tecnologia verso una concreta dimensione produttiva interdisciplinare.
La polarità disincanto/reincanto funziona bene come criterio per orientarsi nella sterminata galassia delle odierne applicazioni immersive (Virtual Reality, Augmented Reality, Mixed Reality, Extended Reality…), dove è opportuno distinguere la immersività “pesante” (in cui il corpo è appesantito da apparati tecnologici come visori, guanti, sensori, ecc.) dalla immersività “leggera” (dove il corpo è libero di muoversi nell’ambiente mediato): una distinzione fra situazioni iper-mediate e im-mediate (secondo la terminologia di David Bolter), che si fonda proprio sulla dicotomia disincanto/reincanto rintracciabile costantemente nella storia dei media culturali.
Una polarità che ci permette anche di identificare potenziali situazioni di tecno-kitsch (https://bit.ly/3EKTll7), cioè di uso improprio o eccessivo di tecnologie digitali nei prodotti artistici e culturali: la reazione al kitsch è infatti l’ironia, o peggio il sarcasmo, reazioni tipiche del disincanto, che sono l’opposto dell’adesione emotiva, della meraviglia, del piacere estetico. L’arte digitale, e soprattutto le Esperienze di Arte Immersiva, puntano invece – proprio grazie alla tecnologia – a dar vita a nuove forme di Opera Totale che esaltino attraverso il reincanto il coinvolgimento emozionale del corpo, dell’intelletto e della sensibilità.
Intervento da LuBeC 2021, convegno “Immersività: tecnologia e creatività artistica”