di Paola Autore, Responsabile Competenze Innovative Coopculture
Il tema delle nuove competenze e del loro aggiornamento, per rispondere alle sfide di un mondo in continuo cambiamento ed evoluzione, investe tutto il settore culturale e in primis le istituzioni culturali, i musei, che già da tempo si sono posti il problema del loro ruolo nella società.
A questo proposito piace citare il progetto europeo Mu.Sa1 sulle nuove competenze in ambito museale, in cui è emerso che l’aggiornamento e il cambiamento debbano avvenire sia internamente, tra lo staff che opera nel museo, sia esternamente verso il pubblico e il territorio, e che nel primo caso sia indispensabile avvalersi del Digital Strategy Manager in grado di costruire la strategia digitale del museo e di dialogare con il mondo della tecnologia, e nel secondo caso dell’Online Cultural Community Manager come figura di raccordo tra il museo e i pubblici che afferiscono ad esso, in grado di gestire le relazioni e di elaborare una adeguata strategia di comunicazione.
Così come i musei hanno avviato la digital transformation intervenendo nei processi interni, e in quelli esterni, anche le imprese che lavorano in questo settore devono fare i conti con la loro digital transformation intesa come un processo che comporta un ripensamento del proprio modello organizzativo. Tecnologie integrate e nuove figure professionali impongono un cambiamento nella gestione dei processi di lavoro, in cui le figure professionali sono costrette ad approcciare il lavoro come un processo unitario e non come un segmento a sé stante. La rimodulazione, all’interno di ogni struttura lavorativa, dell’organizzazione del lavoro e del funzionigramma serve a individuare e comprendere questi processi: i nuovi processi del lavoro digitale.
Questa sfida andrebbe affrontata mettendo in atto tre tipi di approcci tra loro interconnessi:
un approccio umanistico che pone al centro le persone e i loro fabbisogni e verso cui la tecnologia deve fungere più da strumento che da fine ultimo, per processi di empowerment e di partecipazione, piuttosto che di intrattenimento e attrazione. Perché il fine ultimo è diminuire l’iniquità di accesso alla cultura, e attivare, attraverso nuovi strumenti, un processo di ampliamento, diversificazione e approfondimento del rapporto con i pubblici e le comunità di riferimento e, ove possibile, assicurare che le tecnologie possano costituire opportunità di sperimentazione di forme innovative di lavoro;
un approccio sostenibile in cui l’innovazione sia misurata rispetto all’impatto sociale, in cui per ogni investimento innovativo, ne andrebbe monitorata anche l’usabilità, la replicabilità, la capacità di creare e distribuire valori culturali e sociali;
un approccio collaborativo che utilizzi piattaforme condivise di contenuti e di networking di servizi per la costruzione di sistemi territoriali ampi e inclusivi, in cui collaborino gli attori e si integrino risorse culturali e produzioni locali.
La logica collaborativa è auspicabile anche verso il mondo della ricerca e della formazione affinché progetti e competenze innovative siano condivisi con le imprese per costruire insieme una trasformazione digitale di settore con valenza strategica e sistemica, anziché limitarsi ai singoli atti di ricerca e prototipi e a curricula formativi che non sono spendibili nel mondo del lavoro, e in cui le forme di collaborazione siano focalizzate non solo al prodotto, ma al processo che è stato messo in atto per realizzarlo perché è il processo che lascia nuove competenze alle persone che vi partecipano.
È importante anche che le imprese si predispongano come learning organization fondate sul continuo processo di formazione del proprio capitale umano e sullo sviluppo di competenze che possano rispondere alle esigenze di un contesto tecnologico e sociale in continuo mutamento.