di Alessandra Vittorini, Direttore Fondazione Scuola dei beni e le attività culturali
Competitività, innovazione e digitalizzazione: su questi temi siamo tutti invitati – istituzioni, enti, amministrazioni, aziende e professionisti – a riflettere insieme, a partire da ciò che sta avvenendo e da ciò che siamo chiamati ad attuare nell’immediato futuro.
Ma quali sono gli scenari e le prospettive su cui intervenire?
Come è noto, il Recovery Fund e il programma Next generation EU hanno messo a disposizione del nostro Paese oltre 200 miliardi di euro da utilizzare per programmi, progetti e azioni volti alla rinascita post-pandemia. Si tratta, con tutta evidenza, di un’occasione senza precedenti. Un importo che corrisponde a circa sette volte un normale ciclo di programmazione di fondi strutturali e che pertanto, a regime ordinario, avrebbe richiesto un impegno di programmazione e di spesa da distribuire lungo un arco temporale di ben 49 anni!
Già questa semplice considerazione fa emergere la vera sfida in gioco: quella della tempestività, della capacità organizzativa, dell’efficienza e della competenza. In sostanza, la capacità di elaborare progetti capaci di utilizzare quei fondi. E, poi, di realizzarli nei tempi programmati.
È una sfida importante che riguarda direttamente le amministrazioni e che può essere affrontata solo mettendo in campo energie, risorse, idee e nuove visioni di futuro. Ma soprattutto capacità di disegnare progetti strategici e coordinati. Di cosa abbiamo bisogno allora? Innanzitutto delle competenze giuste per progettare e per trasformare i progetti in azioni. Parliamo quindi dei programmi e dei progetti, ma soprattutto delle persone. E, quindi, dei percorsi di formazione e aggiornamento in grado di operare sul rafforzamento e sulla valorizzazione delle competenze.
La pandemia ci ha ricordato, in tutti i campi, il ruolo determinante della scienza e dei saperi scientifici rispetto alla politica e alla gestione della crisi. E, allo stesso tempo, ci ha ricordato l’importanza delle competenze trasversali, quelle che sono in grado di integrare efficacemente il “sapere” con il “saper fare”, le conoscenze con le capacità progettuali, la padronanza delle discipline specialistiche con gli strumenti gestionali e le soft skills. Si tratta di ambiti che richiedono adeguati investimenti nella formazione e nell’aggiornamento professionale in tutti i campi: e non a caso il programma Next Generation EU colloca il tema education & skills ai primi posti tra le sue priorità.
E’ questo l’ambito in cui opera la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, un ente di formazione “giovane”, istituito dal Ministero e operativo dal 2018.
A valle della breve ma intensa esperienza acquisita nei suoi primi 5 anni di attività la Fondazione si propone con elementi di riflessione e contributi operativi al dibattito che investe oggi il patrimonio culturale e la cultura. Un settore che nel nostro Paese è pervasivo e trainante, investendo ambiti di notevole valore economico e sociale: dal turismo alla valorizzazione, dalla conservazione alla ricerca, al lavoro, alle professioni, allo sviluppo, fino alle potenzialità di rilancio e recupero delle aree interne e marginali. In nessun posto come in Italia la leva del patrimonio culturale è presente e articolata alle diverse scale, sia nei centri più rinomati e di eccellenza, con i luoghi della cultura più rilevanti e attrattivi, sia alla scala minore e più diffusa del territorio, dei centri minori, dei tessuti storici, del paesaggio naturale e costruito, delle stratificazioni secolari che disegnano l’immagine più rappresentativa e suggestiva del nostro Paese.
Possiamo quindi provare ad immaginare nuovi scenari e nuove prospettive, pensando alla cultura e alle competenze specifiche di settore di tutti coloro che vi operano, come possibili ponti per il raggiungimento di obiettivi politici più alti, come quelli messi al centro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e nuovamente richiamati dai recenti indirizzi europei: la sostenibilità, la transizione digitale, la gestione dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e dell’esplosione demografica, che ci porterà a raggiungere i 10 miliardi nel 2050.
Alcuni spunti in quella direzione sono già da tempo al centro delle riflessioni europee, e proprio in tal senso la Presidente Ursula Von der Leyen ha voluto lanciare il New European Bauhaus, una nuova versione “attualizzata” del Bauhaus, nato nel 1919 a Weimar in Germania per accompagnare le trasformazioni del XX secolo a partire da una nuova visione dell’architettura, dell’arte e del design.
Oggi, riferendosi allo spirito innovatore di quella iniziativa, la Presidente lo ha definito “un nuovo progetto culturale per l’Europa”. Un progetto culturale, quindi, e non solo politico, economico e sociale. Un progetto che sappia utilmente alimentarsi di una visione culturale globale in cui la creatività, la cultura, il design riescano ad integrarsi con l’innovazione e le visioni di futuro, ma che sappia anche trovare i suoi fondamenti nella componente identitaria, storica e culturale dell’Europa: quella che si alimenta con gli ingredienti di qualità che risiedono nei temi del patrimonio culturale, della memoria, delle testimonianze, del territorio, del paesaggio. Attraverso le competenze e il saper fare, l’integrazione tra tutela e valorizzazione, l’accessibilità, l’inclusione, la partecipazione e la qualità.
Tutto ciò potrà contribuire a definire le strategie e le azioni europee condivise per lo sviluppo integrato, da quello economico e sociale a quello urbano, in una visione che non può che essere – così come era anche il Bauhaus di Walter Gropius – fortemente interdisciplinare.
Oggi, come allora, il tema resta lo stesso: mettere a sistema e condividere, sulla base di un linguaggio comune, i metodi, i principi e le strategie. A partire da logiche di dialogo, cooperazione, interdisciplinarità e trasversalità.
A questo proposito è interessante richiamare il programma europeo CHARTER che ha visto la Fondazione fortemente impegnata già dagli anni scorsi: un progetto volto alla definizione di una strategia europea delle professioni in campo culturale, basato sulla costruzione di una rete tra diversi Paesi e soggetti, di cui la Fondazione è attualmente uno dei motori. Tutto ciò nasceva prima della pandemia, prima del Next Generation EU, del New European Bauhaus, del Recovery Fund e del PNRR. E’ stata un’intuizione geniale che oggi rappresenta un prezioso investimento da mettere rapidamente a valore e capitalizzare, oggi che il rafforzamento delle competenze e delle capacità progettuali appare fondamentale e non più rinviabile. L’impegno stringente cui ci chiama il consistente programma di finanziamenti europei non potrà tollerare ritardi né inadempienze.
A seguire, alcune delle principali attività messe in campo finora dalla Fondazione.
Il corso Scuola del Patrimonio, un percorso di formazione avanzata che rappresenta, di fatto, la principale missione su cui è nata la Fondazione: avviato nel 2018, ha erogato oltre 1000 ore di formazione ed ha rilasciato diplomi di alta specializzazione nel settore del patrimonio culturale. Diversi progetti tematici di formazione continua rivolta ai dipendenti del Ministero, che hanno raggiunto, complessivamente (con modalità di formazione prevalentemente on line) oltre 5000 partecipanti. Il programma di formazione “Musei in corso” per il personale impegnato nell’ambito museale, con oltre 6000 presenze fino ad oggi. E altri progetti di aggiornamento sui temi stringenti di natura trasversale che intersecano gli ambiti del patrimonio culturale, della transizione verde, dell’Agenda Europea della Cultura.
Il tutto operando su una piattaforma digitale di e-learning, nata in forma sperimentale nei primi giorni della pandemia e che ha poi rapidamente moltiplicato e dilatato il suo raggio d’azione e le sue capacità operative: in poco più di un anno ha superato i 16.000 iscritti distribuendo centinaia di ore di formazione con contenuti liberi e gratuiti accessibili a tutti, tra cui anche una selezione di contenuti di questa edizione di LuBeC in broadcast.
Una sfida importante riguarderà a breve un grande progetto di formazione sulla gestione dei beni culturali destinato ai giovani, in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna con fondi del Dipartimento delle Politiche Giovanili della Presidenza del Consiglio dei Ministri: un impegno che in pochi mesi assicurerà ben 1.200 ore di formazione a 2.000 destinatari di età inferiore a 35 anni.
Siamo in campo, con il Ministero della Cultura e con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, nella progettazione e attuazione del primo corso-concorso per i dirigenti tecnici del MiC che ha richiesto un profondo ripensamento dei consueti meccanismi di reclutamento e formazione della dirigenza tecnica chiamata ad operare sul patrimonio culturale.
Altri progetti di formazione ci vedono collaborare con istituzioni ed enti, anche privati, come quello da poco concluso insieme al sistema della Fondazione Intesa San Paolo per un master in Heritage Management, una collaborazione tra pubblico e privato che mette al centro la crescita professionale e di competenze nella gestione etica dei patrimoni culturali corporate.
A scala internazionale è giunta alla sua terza edizione l’International School of Cultural Heritage, attivata dalla Fondazione dal 2018 con i Paesi del Mediterraneo.
Ed è in corso la collaborazione con la Digital Library del MiC per un impegnativo programma di formazione digitale dei dipendenti del Ministero e di tutto il sistema degli operatori.
Si tratta di progetti accomunati da un principio fondamentale: che tutti gli operatori del sistema culturale – sia all’interno che all’esterno del Ministero, nell’ambito sia pubblico che privato – possano diventare davvero agenti e protagonisti del cambiamento che la circostanza straordinaria e emergenziale della ricostruzione europea in questo momento richiede. Un cambiamento che passa per la costruzione di un linguaggio comune e di quella condivisione e trasversalità di esperienze che sola consente collaborazione, dialogo e crescita.
Per chiudere, va richiamata il recente G20 Cultura, che nel Documento conclusivo ha inserito la nostra proposta di attivare una rete di dialogo e confronto tra le istituzioni che fanno formazione nel campo della gestione e del management del patrimonio culturale: creare ponti e connessioni tra realtà ed esperienze per una crescita condivisa che sappia valorizzare gli apporti dei diversi luoghi del mondo. Abbiamo proposto – e stiamo attivando – un ruolo di coordinamento per l’Italia: è una prospettiva che potrà proiettare il nostro paese a una scala internazionale nella vasta rete G20, che da quest’anno, grazie alla guida italiana, ha posto il tema della cultura e del patrimonio culturale per la prima volta al centro della sua agenda.
Intervento dalla Plenaria di LuBeC 2021