Intervento di Fulvio Macciardi, Sovrintendente Teatro Comunale di Bologna
Partirei da uno stimolo: come ha risposto il Teatro Comunale di Bologna a questa emergenza? Al momento della riapertura abbiamo ripensato gli spazi del nostro antico Teatro togliendo le poltrone dalla platea, collocandovi l’orchestra e ospitando il pubblico nei palchi come si usava fare nel passato. Abbiamo proposto degli spettacoli indubbiamente di grande fascino, accolti molto positivamente. Il pubblico ha però bisogno, oggi più che mai, di essere “accudito”.
Il tema della formazione del pubblico è molto importante, le istituzioni culturali hanno un ruolo di sviluppo, ricerca e ridefinizione nella vita delle persone, turbate dall’assenza di prospettive e sicurezze. In questo quadro gli operatori sono chiamati ad affrontare sfide ancora più rilevanti rispetto alla formazione culturale. Cito a proposito un esempio virtuoso che mi ha molto colpito e chiarisce l’entità della sfida che abbiamo davanti: a Vienna esistono più teatri musicali pensati per bambini, in cui la metà delle produzioni sono realizzate dai bambini stessi. Tornando ad oggi e al Teatro Comunale, nel perdurare dell’attuale situazione di emergenza abbiamo deciso di delocalizzare il nostro Teatro, trasferendoci al Palazzetto dello Sport di Bologna (PalaDozza), uno spazio molto grande che ci consente di garantire il massimo rispetto delle norme di sicurezza. Guardando oltre l’attuale emergenza le nuove tecnologie e le nuove sfide presuppongono strategie nuove. Dovremmo pensare di creare nuovi piani di condivisione, anche uscendo dagli schemi: non mi sembrerebbe sbagliato pensare ad un grande soggetto quale una Fondazione lirico sinfonica che crea un sistema su un territorio, per esempio come l’Emilia Romagna ricca di teatri, e ne raggruppa diversi. La nostra sfida è concorrere con il mondo, con la Cina ad esempio, e non possiamo non relazionarci con realtà che distano solo 50 km da noi. Dunque occorre stravolgere i temi e dare una diversa risposta alla domanda “perché attribuire le maggiori quote FUS ai soggetti più grandi?” Perché i grandi devono avere capacità di proposta. Le grandi fondazioni dovrebbero saper elaborare modelli differenti e coinvolgenti. Diamo il compito a chi è più grande di creare sistemi sostenibili. Dobbiamo parlare il linguaggio delle imprese, avere progetti di riforma, divenire aziende sostenibili, creare organismi in rapporto con il territorio in grado di poter programmare a medio termine. La programmazione è un tema non più eludibile, come anche la defiscalizzazione, a partire dall’IVA sui biglietti fino all’Art Bonus che è fondamentale, un modello vincente, che dovrebbe essere ancora più snello. Per tornare al tema delle aggregazioni, i centri produttivi dovrebbero confrontarsi con il territorio, i grandi raggruppamenti di teatri sarebbero molto utili alla razionalizzazione dell’attività. Non significa chiudere i teatri più piccoli, ma fare nostro un sistema che è già molto sviluppato in Europa, cito ad esempio quanto realizzato nella vicina Francia. Questa potrebbe essere una bella sfida. Il nostro settore negli ultimi anni ha attuato un importante percorso di rinnovamento e sarebbe una tragedia pensare che a causa della pandemia si possa rischiare di vanificare questo lavoro. Servono risorse che in questa situazione emergenziale non possono essere date a tutti a pioggia, ma solo in maniera sistemica, con l’obiettivo di salvare tutte le realtà. Questo modello potrebbe essere interessante ed è già stato sviluppato all’estero. Sono maturi i tempi per provare a vedere qual è la soluzione per dare alle comunità una nuova prospettiva di vita culturale.