di Alessandro Rinaldi, Direttore studi e statistiche del Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne
Fra le attività di ricerca portate avanti dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne vale la pena in questa sede riportare alcune evidenze derivanti dall’attività di monitoraggio effettuata sui temi delle competenze e dei fabbisogni di professioni di tutte le imprese italiane, con un focus specifico sui risultati relativi al comparto delle imprese culturali e creative (ICC).
L’attività di ricerca del Centro Studi delle Camere di Commercio parte da lontano. Un lavoro, risalente al 2009, ha riguardato la rilevazione del peso, della distribuzione e della consistenza delle attività economiche collegate al mondo della cultura e della creatività. Si tratta di un comparto cui il mondo delle Camere di Commercio presta particolare attenzione, specie con riferimento alla dimensione di attività produttiva, al contributo alla formazione, all’occupazione, al prodotto di attivazione sull’economia del settore, che possiede un’importante dimensione economica e produttiva.
A partire dall’anno 2011 il Centro Studi UnionCamere in collaborazione con la Fondazione Symbola, produce inoltre un rapporto annuale, “Io sono cultura”, allo scopo di restituire una fotografia dei dati del settore delle ICC prodotti dall’analisi delle ricerche effettuate negli anni precedenti. Nel frattempo, la riforma delle Camere di Commercio ha introdotto la valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo come ambito d’impresa rientrante tra le funzioni delle Camere di Commercio. Questo ha rappresentato un fatto tanto nuovo quanto importante che, specie alla luce del lavoro svolto negli anni passati, ha sancito l’entrata di questo comparto all’interno del mondo delle imprese tutelate dalle Camere di Commercio, e dunque nelle sue relative attività di monitoraggio. Nel 2023, il Centro Studi ha inoltre contribuito alla realizzazione di un’opera particolare, l’Atlante Treccani delle Imprese Culturali e Creative, nella quale, attraverso una messa a valore dei patrimoni camerali e dei dati del registro delle imprese, sono state prodotte delle mappature comunali che entrano in modo significativo nel dettaglio territoriale.
Più nello specifico, la presente ricerca della quale verranno in questa sede riportati alcuni dati di particolare interesse, rientra nella collana delle pubblicazioni del sistema informativo Excelsior, un sistema di monitoraggio che si basa su un’indagine molto ampia ed articolata, strutturata su base mensile e che fornisce un’analisi dei fabbisogni professionali di vari settori, con affondi verticali che raggiungono livelli di elevato dettaglio. La collana si articola in una serie di volumi, che partono da una pubblicazione di carattere generale per poi entrare nei diversi ambiti settoriali o tematici, dal digitale al green. Si tratta dunque di un’indagine estesa, con una storia che risale alla seconda metà degli anni ’90, evolvendo e modificandosi nel corso del tempo. Dalle prime sperimentazioni in alcuni settori specifici del Paese ed attraverso la collaborazione di alcune Camere di Commercio, il sistema si è poi evoluto, entrando sempre più in stretta relazione con dati di carattere amministrativo, tramite le comunicazioni obbligatorie dell’INPS. Si tratta insomma di un modello che di fatto collega i dati INPS con quelli prodotti da questo monitoraggio, che riguarda l’attivazione di contratti, e che dunque produce in output, è bene sottolinearlo, dei numeri riferiti a persone, raggiungendo dimensioni di analisi particolarmente significative. Si parla di una dimensione che a livello di analisi annuale raggiunge le 285.000 unità, una tra le più grandi realizzate oggi nel nostro Paese sulle imprese e che quindi consente appunto di entrare anche nello specifico nel mondo delle ICC. Vale la pena sottolineare una specifica di carattere metodologico: lavorando in collegamento con i dati dell’INPS, la rilevazione raggiunge l’universo delle imprese che hanno dipendenti. Ne deriva che la parte più piccola del settore, vale a dire le imprese senza dipendenti, non venga monitorata.
L’approccio metodologico attuato è quello di una perimetrazione di settori attraverso i codici ATECO, come noto una chiave di lettura molto utilizzata, sebbene non l’unica, specie alla luce del dibattito sul tema dell’individuazione di questo tipo di attività. I codici ATECO, è stato sostenuto, possono di fatto limitare l’attività di osservazione, producendo un tagli analitico unidimensionale, il che lascia intendere che il processo di analisi andrà nel breve periodo incontro a modifiche di carattere metodologico, legate proprio alle variabili prese in considerazione. Ciononostante, il codice ATECO rappresenta una modello di analisi molto importante poiché comparabile con il codice europeo di riferimento, che a livello internazionale e nazionale è quello applicato per molte delle analisi effettuate. Il Centro Studi si impegna comunque costantemente, cercando di intervenire con sempre maggior precisione sulle identificazioni maggiormente “sfocate”, per le quali i confini possono essere tratteggiati adottando nuovi sistemi e nuove tecniche, che consentano di utilizzare i risultati di analisi di testi e fonti informative di tipo documentale, oltreché implementare approcci metodologici quali quello del web scraping, cioè l’estrazione automatizzata di informazioni in merito a quanto segnalato direttamente dalle imprese.
Attualmente, e sulla scorta dei 57 codici di attività a livello di quinta cifra ATECO 2007, il perimetro della ricerca è di tipo, si potrebbe dire, classico. Si compone di quattro grandi segmenti: quello maggioritario delle industrie creative e poi quello delle industrie culturali, che raccolgono a loro volta settori di rilievo, allargandosi poi al patrimonio storico-artistico ed infine alle performing arts ed alle forme di intrattenimento. Si tratta dunque di un mondo estremamente eterogeneo, a seconda dei settori e del tipo di attività economiche coinvolte, e che peraltro si caratterizza come un mondo a fortissima connotazione relazionale con il pubblico e dal necessario sfondo di natura pubblica, composto da una componente rilevante di attività afferenti al terzo settore, altro tema questo di grande attualità. A tal proposito esiste oggi infatti il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, che comprende circa 115.000 enti che progressivamente stanno rendendosi accessibili per tramite appunto di un registro open, consultabile da tutti.
Venendo ai dati sul settore ICC, il primo aspetto di rilievo è quello legato alla quota rappresentativa delle ICC nel panorama delle imprese con dipendenti a livello nazionale, pari al 4,4% del totale, valore che sale al 5,4% in termini di entrate occupazionali: questo dato dimostra che il settore delle ICC assume dipendenti. Si tratta di un sub-universo di circa 57.000 imprese, fra quelle appartenenti alla fascia “alta”, vale a dire quelle con dipendenti, e con un maggiore livello di strutturazione. Quanto alla distribuzione in termini assoluti delle entrate programmate per il 2022, rappresentative delle attivazioni di contratti, le imprese delle industrie culturali assorbono circa i due terzi del totale del fabbisogno professionale delle ICC (66%). Seguono le industrie creative con poco meno di un quinto della domanda di lavoro (19,4%). Infine si attesta, rispettivamente al 13,4% ed all’1,2%, il peso delle entrate programmate dalle imprese delle Performing arts e dell’intrattenimento, e delle imprese legate al settore del Patrimonio storico-artistico. Emerge dunque il ruolo di queste ultime in qualità di attivatore più che di assorbimento del potenziale occupazionale. Rapportando infatti i valori delle entrate programmate al numero delle imprese con dipendenti di ciascun settore, si prevedono quasi cinque entrate per ogni impresa, a fronte delle meno di quattro programmate in media nel complesso dell’economia. Nell’ambito delle Performing arts e dell’intrattenimento si superano addirittura le sei entrate per impresa, mentre sono meno di quattro quelle previste nell’insieme delle industrie creative. È bene specificare che si parla di attivazione di contratti tout court, di ogni tipo di durata, anche breve, per cui non si può propriamente parlare di occupazione.
Un dato di indubbio interesse da sottolineare in questa sede è poi legato ad uno dei temi di cui si sente parlare più di frequente in ambito pubblico rispetto alle analisi del Centro Studi e di questo osservatorio. Si tratta del tema del mismatch, ovvero del disaccoppiamento che c’è tra domanda e offerta di lavoro, e più nello specifico tra la crescita delle entrate e la difficoltà di reperimento. Spesso si sente dire, e di fatto i dati lo dimostrano, che al di là degli andamenti delle imprese, dunque delle possibilità di crescita occupazionale, la domanda che queste ultime esprimono non è soddisfatta dal mercato. C’è quindi una quota di entrate non soddisfatte dal mercato, che le imprese non riescono a trovare. Questa quota è quella che deriva dalla segnalazione delle imprese stesse in merito alla loro difficoltà di reperimento, difficoltà che per il settore della cultura e della creatività è pari al 39.1% (su una media complessiva del 40,5%) attestandosi dunque su livelli comunque rilevanti. Esiste dunque, anche in questo settore, una necessità di occupazione che non viene soddisfatta, perlopiù per due motivi sostanziali: il primo è legato alla difficoltà nel reperimento di un’occupazione qualitativamente qualificata, ma in secondo luogo si tratta anche di un problema quantitativo che ha anche a che fare con fattori demografici, vale a dire con la disponibilità fisica di risorse necessarie, che non è sufficiente a soddisfare la domanda delle imprese. Dal rilevamento emerge inoltre che ci sono realtà, fra cui in particolare le imprese legate al Patrimonio storico-artistico, che segnalano in modo più diffuso questa difficoltà di reperimento, seguito dal comparto delle industrie creative. Il discorso è relativamente diverso, con una posizione leggermente più eccentrica, per le Performing arts, che presentano sì un mismatch, ma legato in questo caso ad un fattore diverso, cioè alla minore entità delle entrate.
Quanto alle caratteristiche di queste entrate, queste si distinguono per una tendenza progressiva alla stabilità, vale a dire alla sottoscrizione di contratti sempre più stabili, di tipo determinato e indeterminato. Una tendenza positiva, in particolare nel caso di una connotazione peculiare, rappresentata dallo spazio crescente riservato a giovani e laureati, specie quando queste due variabili (l’età ed il livello di specializzazione) figurano insieme. Ulteriori dati, quelli cosiddetti di stock, confermano che il mondo delle imprese culturali e creative è caratterizzato da una maggior presenza di giovani laureati perlopiù appartenenti alla seconda fascia, dunque non giovanissimi ma giovani con un’età compresa fra i 25 ed i 40 anni. Si tratta di una categoria —dotata non solo di un elevato livello di istruzione, ma anche livelli di professionalità e di competenza altrettanto elevati— per la quale si registra dunque una crescita di richiesta dal punto di vista del livello professionale.
Venendo ai temi di maggiore attualità, cioè quelli legati alle cosiddette transizioni gemelle, vale a dire al digitale ed al green, fra le imprese culturali e creative si registra la forte tendenza alla ricerca di profili professionali con elevate competenze digitali, maggiori capacità applicative nelle tecnologie 4.0 e buona attitudine ai metodi matematici ed informatici (dati che emergono con valori differenziali importanti, al di sopra i 9 punti percentuali). Non si può dire altrettanto per quanto riguarda la transizione green, specie in riferimento all’attitudine al comportamento, la misurazione delle competenze green non restituisce infatti tendenze altrettanto chiare da interpretare. Se il digitale ha una possibilità di essere verificato in modo diretto, la rilevazione delle legata al green è infatti più complessa da rilevare, poiché è relativa al monitoraggio di attitudini comportamentali, come ad esempio il livello di attenzione rivolto al risparmio energetico. Tuttavia, mettendo sullo stesso piano tutte le imprese, interrogate attraverso gli stessi quesiti, sul tema i dati si inseriscono all’interno di valori medi, e fra le tendenze più evidenti spicca la richiesta di meta-competenze, come le soft skill trasversali: dal problem solving, alla flessibilità e all’adattamento, al lavoro in gruppo. La questione green appare comunque meno urgente rispetto a quella del digitale, in merito al quale si registra un’evidente crescita di richiesta, una maggiore esigenza. Nell’ambito della cultura e della digitalizzazione, risulta interessante analizzare l’entità del fabbisogno professionale delle ICC ad alta propensione digitale. Se infatti circa i tre quarti delle ICC (74,7%) possono considerarsi “digitali” —ossia svolgono attività connesse, per tipologia di processi sviluppati, strumenti utilizzati ed output prodotti, ad elementi tecnologici e digitali— la quota del totale delle entrate per risorse per le quali sono richieste competenze digitali elevate scende a circa due terzi (66,5%).
Se analizzati nell’ottica della multidimensionalità, cioè mettendo in relazione il tema del digitale ad altre variabili, quali il titolo di studio, emerge inoltre una difficoltà di reperimento di risorse adeguate. Se infatti le ICC “digitali”, rispetto alle altre imprese, si dimostrano più esigenti in termini di esperienza e di competenze digitali e riservano maggiori spazi ai giovani ed ai laureati, le entrate “digitali” sono mediamente più difficili da reperire.
Il tema cultura e creatività può essere infine osservato non solo dal lato delle imprese ma anche delle professioni. Un focus della ricerca di UnionCamere sui settori che richiedono professioni culturali e creative, rileva che circa il 45% della domanda di professioni culturali e creative per il 2022 proviene dalle ICC. In particolare, il turismo a prevalente vocazione culturale ed il Made in Italy a contenuto culturale assorbono, rispettivamente, l’1,3 e l’1,1% della domanda di professioni culturali e creative. Il dato più interessante è relativo al fatto che oltre la metà delle richieste rivolte a questi specifici candidati risulta essere trasversale, provenendo da altri settori economici: in altre parole, il 52,7% delle richieste proviene da settori non appartenenti al comparto culturale e creativo, mostrando una profonda penetrazione di questo tipo di professionalità in ambiti d’impresa. Grazie alla natura multidimensionale dell’indagine è inoltre possibile rilevare la connotazione generale delle richieste e delle entrate da parte delle ICC, vale a dire il profilo professionale richiesto da queste imprese: si tratta di professionalità di alto livello e mediamente difficili da reperire, nell’ambito delle quali si ricerca un buon livello di esperienza, sensibilità alle tematiche green, problem solving, flessibilità e adattamento e conoscenza delle lingue straniere.
In conclusione, alla luce delle principali evidenze scaturite dall’analisi delle ICC, dei settori creative-driven e delle professioni culturali e creative, si può affermare che il comparto registri, al 2022, una stabilità crescente, assieme ad un trend di crescita del turismo culturale, un significativo processo di digitalizzazione sistematica, una maggiore disponibilità di spazi professionali per giovan* laureat* che si lega a sua volta con la domanda di professionalità sempre più qualificate e competenti, un orientamento alla produzione delle attività ed infine un mismatch crescente, che rileva la necessità di informare, guidare, accompagnare ed in ultimo rendere più compatibile la domanda con l’offerta nel comparto delle ICC.