di Francesco De Melis, Etnomusicologo, musicista, compositore
(da LuBeC 2021)
La cultura dell’immagine, alias centralità del visivo, non è affatto quella cosa moderna che più moderna non si può.
Se uno risale agli Insegnamenti, all’Oriente Antico, al Tantra Madre, apprende subito che se non si è consapevoli nella visione, è alquanto improbabile che lo si sia nel comportamento. Laddove s’intende, molto intensamente, per visione, non solo il fenomeno visivo, ma la totalità dell’esperienza, cioè ogni percezione, sensazione, evento mentale ed emotivo.
Visione è ciò che vediamo come esperienza, ed “è” l’esperienza. Nell’orizzonte antico essere inconsapevoli nella visione significa essere incapaci di cogliere quello che sorge nella verità dell’esperienza. E in questa luce, la modalità di fruizione “immersiva” appare un’invenzione inattuale: la visività sarebbe immersiva per natura. “Vedere – diceva Merleau-Ponty, è per principio vedere più di quanto si veda”. Persino il suono si può vedere. E il timbro si tocca, si tocca a vista. C’è una visività del timbro: è quella che Schneider chiamava, con metafora antico-cinese, “luce degli orecchi”, che nella percezione orientale dell’arte non è che l’esperienza visiva del suono.
Ora, questo vedere il suono e toccare il timbro corrisponde esattamente all’esperienza che noi abbiamo voluto ricreare attraverso l’ideazione dei microcinema. Il modulo “microcinema”, proposto dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, in occasione della mostra internazionale sull’antropologia visiva e l’arte contemporanea “Racconti In-visibili”, consiste in una sorta di camera oscura, progettata insieme a Luca Ruzza e Laura Colombo da una cabina di regia coordinata da Leandro Ventura e Stefania Baldinotti, che consente una diversa qualità di percezione e conoscenza del patrimonio immateriale.
Questa peculiare modalità di visione è un’esperienza immersiva, come si dice oggi, ma in un senso antico, da origini del cinema. Tale fruizione antica è anche necessariamente contemporanea: antica per l’effetto “lanterna magica” all’interno di una moderna “camera” per l’appunto “oscura”, moderna per la potente tecnologia di proiezione e di alta definizione. All’interno dei microcinema è possibile la fruizione dei beni immateriali italiani documentati attraverso la macchina da presa, impiegata non soltanto come strumento d’indagine scientifica, ma anche come mezzo d’espressione poetica. Al perché documentare il patrimonio immateriale con il mezzo cinematografico risponde il nome stesso della cinepresa: una macchina d’altri tempi in grado di “prendere”, di “catturare”, quello che altrimenti sfuggirebbe per sempre. “Macchina da presa”, dunque, come nominazione lapalissiana. Non c’è nulla di più fuggevole e dunque sfuggente del bene immateriale, che infatti è definito volatile. I beni volatili che, come diceva Esiodo a proposito dell’oralità, scorrono nell’aria come un fiume, vengono sì preservati dal cinema, ma attraverso una specifica grammatica di ripresa.
Ogni microcinema consiste in un avvolgente compartimento oscuro di tela nera dotato di uno schermo da retroproiezione e di due monitor audio con qualità da studio al fine di esaltare il missaggio sulle molteplici tracce digitali. Un patrimonio sulle spalle, Prodigio in slow motion, Virgo Potens, Vedere il gusto, Fortunale, La musica negli occhi: sono alcuni dei titoli che connotano le nostre camere oscure ed esprimono il senso di queste peculiari esperienze audiovisuali. Che è poi il senso delle tematiche scelte nell’ampio ventaglio del nostro patrimonio immateriale: dalla memoria storica della civiltà marinara, ai trasporti rituali delle “macchine a spalla”, alle tradizioni coreutiche e musicali contadine, ai saperi alimentari della tradizione veneta o siciliana.
Il tutto guardato da dentro la camera oscura attraverso le differenti ottiche, alias strategie, della cinepresa. Una visione che è fisica, persino tattile, nel senso di stare così vicino all’evento filmato da toccare quasi lo schermo. Toccarlo con gli occhi… Un’espressione molto sinestesica, al punto quasi di una confusione dei sensi: toccare con lo sguardo. Ma con lo sguardo non si tocca “a occhio nudo”; con gli occhi si può “toccare” solo guardando in macchina: nella macchina “da presa”. Oppure nella camera oscura, immergendosi nel microcinema.