di Enzo Grossi, Direttore Scientifico della Fondazione Villa Santa Maria
Buon pomeriggio a tutti. Grazie per l’invito. Oggi mi è stato chiesto di parlare di questo rapporto OMS sui rapporti tra cultura-salute che vedete proiettato. Ne ho accennato nella sessione plenaria stamattina, dicendo che nell’ambito di questa nuova disciplina cultura e salute, l’uscita di questo report è stato un momento sorprendente poiché ci siamo trovati di fronte ad una ampia raccolta sistematica di evidenze scientifiche a favore di un ruolo determinante della partecipazione culturale sulla salute umana.
Qui mi presento anche come Cultural Welfare Center, un’associazione di recente istituzione di cui darà maggiori informazioni l’amica Catterina Seia. Per capire questo rapporto bisogna rifarci a dei concetti che sono ancora quelli espressi dall’OMS nel 1948. Questa dichiarazione dell’OMS è ancora estremamente attuale e in parte utopica poiché è difficile metterla in atto da parte dei decisori pubblici, ma rimane di riferimento. Da questa affermazione dell’OMS ovvero che: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità. Il possesso del massimo stato di salute che si è capaci di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano” nasce un concetto molto rivoluzionario per l’epoca, secondo cui i determinanti dello stato di salute sono in gran parte al di fuori della sanità. Purtroppo gran parte dei medici ignora che in realtà lo stato di salute del loro paziente è condizionato da qualcosa di estraneo all’età, al genere, ai fattori genetici, ma dipende da stili di vita, da i comportamenti, dalle reti sociali, dalle condizioni di vita, dal reddito e non da ultimo dalla partecipazione culturale, che è emersa come uno il fattore più importante, subito dopo lo stato di salute.
Sulla rivista Science, negli anni 70 del XX secolo, George Engel pubblica un manifesto rivoluzionario per l’epoca, ma che è ancora tale ancor oggi: ovvero la proposta di sostituire il modello biomedico con il modello bio-psico-sociale. Lo stato di salute per questo modello bio-psico-sociale significa che la salute anche in assenza di malattie, può e deve essere migliorata, che i suoi determinanti sono per lo più extra-sanitari e soprattutto che la salute mentale e quella fisica si influenzano a vicenda, cosa che è sempre rimasta purtroppo piuttosto estranea alla medicina ufficiale. Questa è la premessa per immergersi in questo report, è la parte implicita non descritta, ma necessaria per apprezzarlo. Il report, è stato curato dalla psicologa comportamentale Daisy Fancourt, che è anche l’autrice dello studio inglese che ho citato stamattina sulla riduzione di mortalità prematura in chi ha un alto indice culturale.
Il report riassume i risultati di oltre 3.000 studi, raccolti in 900 pubblicazioni, che hanno a che fare con la prevenzione delle malattie e la gestione della salute. Le evidenze che sono esaminate seguono una scala gerarchica molto articolata poiché tipicamente nel mondo della Evidence Based Medicine ci si basa su una classificazione di risultati che derivano da approcci metodologici sempre più complessi, passando da semplici case report ad una serie di casi, a studi con gruppi di controllo, a studi di coorte, a studi randomizzati fino alla meta analisi. La maggior parte delle pagine del report sono costituite da referenze bibliografiche. Non è un documento facilmente assimilabile vista la mole di informazioni e studi. Abbiamo a che fare con una scienza che spazia in ambiti molto diversi: di tipo medico, psicologico, filosofico, antropologico, sanitario, ecc. E qui capiamo subito il problema di oggi: noi non abbiamo un approccio multidisciplinare, ogni professionista coltiva il suo orticello e tende a non dialogare con altre figure professionali che guardano lo stesso problema da un’angolatura diversa.
La pandemia ha creato una deprivazione della possibilità di fruizione culturale, non sappiamo a lungo termine quali saranno i danni ma sospettiamo che saranno notevoli. Il modello logico alla base del rapporto utilizza varie componenti, ovvero: l’evocazione dell’emozione, la stimolazione cognitiva, l’interazione sociale, non da ultimo l’attività fisica. Infatti avere una partecipazione culturale stimola al movimento, a delocalizzarsi. Queste componenti danno origine a delle risposte psicologiche, fisiologiche, sociali e comportamentali. Per ogni tipo di risposta possiamo avere degli strumenti che le misurano e possono essere utilizzati per ricerche come endpoint da mettere in progetto. Ci sono molti tipi di approcci in base al tipo di risposta che misuriamo, idealmente dovremmo misurarle tutte se vogliamo un quadro esauriente dell’impatto globale della bellezza. Quali gli esiti? Dipende se parliamo di prevenzione, promozione, o di gestione e trattamento della salute.
Dunque abbiamo due grandi ambiti:
- uno che riguarda la popolazione generale, dove il nostro obiettivo con l’arte è prevenire la possibilità che la persona incorra in malattie degenerative come Parkinson, Alzheimer, depressone maggiore, sia in malattie tumorali. Secondo alcuni studi con la partecipazione culturale è possibile una prevenzione anche dei tumori grazie alla diminuzione dei danni del cortisolo che quando permane a lungo in circolo a seguito ad esempio di stati cronici di stress, immunodeprime e riduce la sorveglianza a cellule impazzite che innescano la malattia tumorale.
- Nell’ambito della popolazione fragile invece abbiamo la possibilità di un ausilio nella gestione e nel trattamento di molte condizioni che oggi non hanno possibilità di intervento. Non esistono infatti farmaci attivi nell’autismo per esempio, dove l’art therapy è una risorsa che ha dimostrato di aver un suo ruolo e significato grazie a studi randomizzati.
Per quanto concerne la prevenzione e la promozione (sezione 2.1), sono state identificati diversi ambiti in relazione a come le arti possono:
- influenzare i determinanti sociali della salute (ad esempio, sviluppo della coesione sociale e riduzione delle disuguaglianze e ingiustizie),
- sostenere lo sviluppo del bambino (ad es. migliorare il legame madre-bambino, sostenere l’acquisizione della parola e del linguaggio e di un livello di istruzione),
- incoraggiare comportamenti che promuovono la salute (ad es. promuovendo stili di vita salutari, incoraggiando il coinvolgi-mento nelle cure grazie alla loro funzione comunicativa, contrastando pregiudizi legati alla salute e coinvolgendo gruppi svantaggiati o difficili da raggiungere),
- aiutare a prevenire le malattie (per esempio incrementando il benessere fisico e mentale, riducendo le conseguenze di traumi e il rischio di decadimento cognitivo, indebolimento e morte premature),
- supportare l’assistenza e la cura (compreso l’aumento della nostra comprensione della salute e il miglioramento delle capacità cliniche e del benessere individuale curanti professionali e non).
Potremmo parlare a lungo anche degli effetti della partecipazione culturale sulla coesione sociale, ricordando che la partecipazione culturale oltre a offrire un beneficio individuale, lo offre anche a livello sociale. C’è una letteratura emergente sul capitale sociale e le attività socialmente utili legate alla cultura. Noi ad esempio abbiamo pubblicato un lavoro con gli amici Blessi, Grossi, Sacco, Pieretti e Ferilli sul concetto dei cosiddetti beni relazionali, analizzando con l’aiuto di un panel europeo di economisti della cultura, il grado di sociabilità delle 15 attività culturali che avevamo preso in considerazione negli studi di popolazione condotti in collaborazione con Doxa. Nel progetto epidemiologico che abbiamo seguito nella città di Milano su un campione di 1.000 cittadini abbiamo notato che se misuriamo l’indice sociale ovvero quanto spesso le persone si mettono a disposizione in attività di volontariato a supporto della comunità, la loro intensità partecipativa culturale e il loro indice di benessere psicologico, ovvero quanto sono “felici”, possiamo notare che chi ha un’alta partecipazione culturale ha un maggiore indice sociale e per quanto riguarda i musei in particolare, abbiamo visto chi va più di dieci volte in un museo all’anno oltre ad avere un indice di benessere più alto, ha anche un indice sociale molto superiore a che va zero volte al museo in un anno. Questo ci fa riflettere sul potenziale della partecipazione culturale per quanto riguarda la salute sociale. Per quanto riguarda lo sviluppo del bambino, voglio citare un esempio importante “Nati per leggere”, un’iniziativa italiana molto importante: un genitore che legge a voce alta ad un bambino in età prescolare offre uno stimolo molto importante per lo sviluppo del cervello di un bambino, molto più che fargli vedere un libro con immagini. Infatti uno studio giapponese ha messo a confronto gli effetti cerebrali dello storytelling sul cervello dei bambini rispetto alla osservazione di un libro ricco di figure. Con lo storytelling l’attivazione dei circuiti cerebraliè molto più forte.
Per quanto riguarda il decadimento cognitivo anche qui letteratura è sterminata, ma ho colto una cosa molto interessante: in uno studio della Francourt sul decadimento cognitivo è stato visto che quanto più è intensa la partecipazione culturale, quanto più capacità mnemoniche delle persone funzionano meglio. Al contrario la esposizione alla TV ha un effetto opposto: quante più ore la vedi, quanto più c’è un decadimento cognitivo.
Sempre nell’ambito della prevenzione, se pensiamo alla morte prematura, uno studio della Gran Bretagna pubblicato dell’anno scorso della Francourt, l’autrice del rapporto OMS, ha dimostrato che ci sono da 10 a 15 anni di vita guadagnati per chi ha maggior partecipazione culturale. Questo è l’ultimo degli studi epidemiologici pubblicati sull’effetto della cultura sulla longevità, dopo i famosi studi scandinavi che hanno aperto la strada e attratto l’attenzione generale. Se ci spostiamo nell’ambito della gestione e trattamento delle malattie per le condizioni acute fa da padrone la musica, su cui c’è una letteratura sterminata. Ci sono una serie di utilizzi della musica che va dalla Music Education, per lo sviluppo delle capacità, all’utilizzo quotidiano della musica, la Community Music, alla Music Therapy usata soprattutto negli studi cognitivi e alla Music Medicine, usata nelle situazioni di stress con effetti a breve termine. In molti ambiti della medicina ci sono delle evidenze scientifiche molto forti, tant’è che ci sono circa 5.000 articoli recensiti dalla banca dati PubMed su questo ambito e la Cochrane Collaboration, un’organizzazione rigorosa che valuta le pubblicazioni in maniera molto critica, ha concluso che vi è un effetto analgesico reale dell’ascolto della musica, che genere femminile risponde meglio di quello maschile, che l’ascolto della musica dal vivo ha un effetto migliore di quella registrata. Vale anche per l’arte visiva: degli studi hanno messo a confronto l’opera reale con la riproduzione digitale e gli effetti sul cervello sono diversi, ma mentre sulla musica lo sappiamo, ovvero la trasformazione digitale fa perdere una banda di suono, soprattutto gli infrasuoni, sulla parte visuale invece è sempre un mistero da indagare.
Quali sono i punti forti di questo report a cui ho accennato? Innanzi tutto si tratta di una rassegna estesa della letteratura mondiale, applica l’esame dei risultati con approcci diversi e utilizza la triangolazione in cui lo stesso tema viene visto da punti di vista diversi per vedere se c’è una consistenza nei risultati osservati. Ci sono anche punti deboli: il rapporto ha preso in esame solo studi pubblicati in lingua inglese e russa, è in un formato breve e sintetico, manca una discussione dettagliata e non è facile determinare la dimensione degli effetti dei vari interventi. Quali i passi successivi? Indubbiamente questo è un punto di partenza, bisogna programmare nuovi studi mirati ad end point condivisi e multidisciplinari indagando le aree che sono più carenti e per le quali si sente maggiormente il bisogno di un miglioramento. Spesso gli interventi culturali sono utilizzati in maniera isolata o sono in combinazione con interventi medici, quindi bisogna separare e vedere l’effetto netto o prevedere percorsi ad hoc per specifiche condizioni di salute. In sostanza per chi vuole dedicarsi a questo filone dunque c’è tutto un mondo da costruire.
Vi ringrazio per l’attenzione.