di Aldo Bonomi, sociologo e fondatore Consorzio AASTER
La premessa da cui principia questa ricerca è molto semplice: un ragionamento su cultura e culture. In una ideale “cassetta degli attrezzi”, la cultura deve essere posta al centro dei flussi che impattano i luoghi, cambiandoli culturalmente, economicamente, socialmente ed antropologicamente. Cosa sono i flussi? Ebbene, la finanza è un flusso, le imprese sono un flusso di arrivo e di rappresentazione del mondo. Si pensi ad esempio a come la cultura sia uno strumento utile a rappresentare le imprese e le merci. Ancora, le migrazioni sono un flusso, con tutto ciò che questo implica, e impattano sul territorio. Ma il territorio è un luogo di costruzione sociale, e la cultura è lo strumento attraverso cui si costruisce socialmente un territorio.
Fatta questa premessa, è assai apprezzabile che tra i megatrend, cioè le tendenze che la ricerca ha preso in considerazione, figurino i flussi tradizionali: la finanza, le internet company, i turismi, il marketing, interpretato come flusso di attrazione e di rappresentazione. Ma oltre a questi flussi tradizionali, fra i megatrend della ricerca vengono presi in considerazione anche i nuovi flussi nei quali la società contemporanea si è trovata coinvolta.
Vale la pena citarne due: il primo è il Covid. La ricerca parte dall’analisi del suo duplice impatto, poiché il Covid è stato un flusso che non ha solo impattato sui territori, ma anche sul nostro corpo. Il secondo flusso che la ricerca analizza è quello della crisi ecologica. A questi due si potrebbe aggiungere anche un terzo megatrend, rappresentato dalla guerra fra Russia ed Ucraina, uno scenario lontano ma non troppo, se si considera la dimensione europea come quadro di riferimento. Un altro aspetto pregevole della ricerca è l’attenzione che questa riserva ai fenomeni migratori ed alle questioni di genere, nonché al posizionamento delle culture rispetto ad essi, riservando attenzione anche al tema di fondo dell’intelligenza artificiale.
Ebbene, rispetto alla categoria concettuale della sociologia, posizionarsi —come questo lavoro fa— tra i flussi e i luoghi rappresenta uno strumento analitico e metodologico fondamentale. Uno strumento che permette di ricercare e comprendere come collocare il “fare cultura” ed i lavori delle culture rispetto allo scenario dei flussi. Entro questo scenario, il “fare cultura” non pertiene solamente alle entità tradizionalmente intese, quali i musei, ma è da intendersi come quel processo di lavoro orizzontale, che tiene assieme il cosiddetto urbano regionale. Il concetto racchiude al proprio interno i cosiddetti comuni polvere, le aree interne ed i paesi abbandonati, i piccoli comuni che rappresentano un pezzo della dimensione del territorio.
Si procede poi verso le città-distretto —delle quali Lucca è una valida rappresentazione, non solo per il distretto florovivaistico e per gli altri distretti che la circondano, ma anche per la valenza del distretto culturale, dal punto di vista della città stessa e della sua rappresentazione. Seguono le cosiddette città medie, che non sono rappresentate solo dalle aree metropolitane. Tanto per essere chiari ed arrivare al territorio di Lucca: non solo Firenze ma Lucca, Prato. Ecco cosa si intende con città medie, o per citare l’intera Toscana, i borghi: questo è il punto di riferimento, ed è questa, in sintesi, l’influenza che i flussi hanno sui luoghi, quando ci si riferisce al loro impatto sull’urbano regionale.
Un altro aspetto di interesse è quello legato agli ambiti di sviluppo del lavoro culturale, una geografia ampia che la ricerca prende in considerazione. È bene incominciare a comprendere che, entro il tessuto socio-economico nazionale, non si ha più solo a che fare con i distretti tradizionalmente economici. Questi ultimi si sono in effetti sviluppati, trasformandosi in distretti culturali evoluti. Questo processo evolutivo implica che un distretto non possa più dedicarsi semplicemente alla rappresentazione dell’operosità e dell’economia locale, ma debba offrire anche una rappresentazione delle culture locali con tutto quanto ne deriva.
A questo proposito è però necessario sottolineare un caveat importante: i distretti culturali evoluti non hanno senso né significato se non si tramutano anche in distretti sociali. La dimensione sociale ha a che fare con il welfare; con la riscoperta di comunità “larghe” —non già di comunità rinserrate, portatrici di forme di “localismi rancorosi”— attraverso lo strumento della relazione, perché l’identità non sta nel soggetto, ma nella relazione. E la cultura, in questo ambito, rappresenta lo strumento di relazione per eccellenza.
Per concludere, vale infine la pena rilevare un’unica osservazione critica alla ricerca. Essa propone un modello attraverso il quale “guardare in alto”, ossia trovare un punto di corrispondenza con le policy e le tendenze a livello europeo, rilevando la necessità di collegarsi con i Goal dell’ONU, con l’UNESCO, con i parametri individuati dall’Unione Europea. Ebbene, è senz’altro vero che bisogna che le cooperative riscoprano la capacità di interagire con i livelli sistemici superiori attraverso alcuni flussi fondamentali —ed in questo il PNRR è da considerarsi, alla stregua di altri processi già inquadrati in questa trattazione, un flusso a pieno titolo.
D’altro canto è parimenti necessario e prioritario rispetto al “guardare in alto”, e questo vale in modo particolare per il comparto cooperativo nella sua totalità, lavorare su come mettere assieme —avrebbe detto il professor Giacomo Beccantini— “l’intimità dei nessi”, ossia sull’individuare cosa tenga insieme la comunità locale. Se è vero, infatti, che i distretti economici erano, e sono tuttora, tenuti assieme dalla comunità locale, che si rivolgeva agli interessi, è necessario far luce su come si tiene assieme la comunità locale stessa, rispetto alla dimensione culturale ed alla rappresentazione di sé. Quest’ultimo passaggio è forse il più importante, ed è solo portandolo a compimento che saremo in grado di costruire una rete di cooperazione sociale che interagisca con i flussi.