Intervento di Giuliano Gasparotti, fondatore ed amministratore della Idea Faktory srl
Dalla rivoluzione smart working ad un nuovo protagonismo dato ai piccoli Borghi, nel quadro di una economia dell’aggregazione come opzione per la crescita post Covid.
Del contributo dato dalle industrie creative e culturali all’economia italiana si è scritto molto in questi anni: 90 miliardi di euro di ricchezza – che arrivano sino a 250 conteggiando l’indotto – ed il 6% di occupati di settore con trend in costante crescita, sono numeri significativi che pesano sulle prospettive di ripresa post Covid 19.
Ipnotizzati dallo shock del lockdown, nel tunnel delle nuove misure restrittive per contenere la seconda ondata dei contagi, nell’attesa di una primavera che con i vaccini potrebbe portare ad un rimbalzo economico atteso, la cesura rappresentata dalla pandemia ha fatto esplodere limiti e carenze, già note da molti anni. La natura della parola “crisi”, tuttavia, porta con sé anche delle opportunità che vale la pena di cogliere, se si vuole rimanere ancorati alla realtà e soprattutto se si intendono delineare delle prospettive di sviluppo per il futuro.
E’, dunque, utile far ripartire gli investimenti in cultura? Sì, a patto che siano verificate tre condizioni essenziali. La prima, è reinterpretare una nuova socialità. Una potente immagine che rappresenta i tempi in cui viviamo è quella del dipinto di Renè Magritte, Golconda che prende il nome dalla ricchissima miniera di diamanti poi esauritasi in India. Tanti personaggi omologati e sospesi, perfettamente distanziati gli uni dagli altri, ma anche tanti sguardi che si orientano in direzioni tutte differenti tra loro. La fotografia della realtà economica dell’industria culturale è drammatica e, probabilmente non è un prodotto della sospensione provocata dall’epidemia. I freddi numeri raccontano che solo per il comparto museale le perdite sono stimate intorno ai 20 milioni di euro mensili. Il comparto cineaudiovisivo, che rappresenta il 4,5% del PIL con oltre 8.500 aziende e 170.000 occupati, è fermo; il turismo ha dimezzato le presenze ed è diventato quasi prettamente domestico. In controluce, tuttavia, emergono anche altri dati: un nuovo impegno verso l’utilizzo delle tecnologie digitali per la valorizzazione dei beni museali ed artistici; +40% di traffico internet; + 75% di acquisti in rete; + 20% di consumo di opere audiovisive su piattaforme web e televisive; il fenomeno smart working esploso, passando da 1,5 milioni ad almeno 8 milioni di lavoratori. Dati che incidono profondamente sui rapporti tra le persone, sulle modalità di produzione, sugli spostamenti, sul rapporto tra grandi e piccole città, centro e periferie, nuclei urbani e piccoli borghi. Si intravede, dunque, una nuova organizzazione ed un nuovo modo di vivere il proprio tempo, oltre che gli spazi.
Questo scenario completamente mutato porta ad una condizione, la seconda, di rilievo: avere un approccio innovativo fondato sull’idea dei territori come ecosistemi produttivi. Il protagonismo delle periferie e dei piccoli borghi che interagiscono tra di loro come parte di una rete in cui la città si ritaglia un essenziale ruolo di impulso e di coordinamento. I temi dello spopolamento, della riqualificazione urbana ed immobiliare e dei collegamenti si ampliano ed, in parte, si superano, con la necessità di dare risposta a nuovi bisogni legati soprattutto alla infrastrutturazione tecnologica e ad un trasporto veloce, efficiente ed ecosostenibile.Casi interessanti come San Giovanni in Galdo, nel Molise, Montieri in Toscana o Sambuca in Sicilia vanno reinterpretati alla luce di una nuova realtà; non è un caso che a Vaccarizzo, in Calabria, è il MIT – Massachusetts Institute of Technology di Boston che ha avviato una ricerca, necessaria alla luce di queste profonde trasformazioni che, obtorto collo, il tessuto produttivo sta vivendo.
La terza e determinante condizione è rappresentata dall’emergere di un nuovo paradigma economico che si potrebbe denominare “Economia dell’aggregazione”. Distretti, aree o città policentriche che agiscono con una governance comune capace di rafforzare la capacità attrattiva di talenti e competenze, investimenti pubblici e privati, fondati sullo schema di una rete. Alla larga da logiche assistenzialiste, proprio per restituire fertilità a terreni un tempo abbandonati, la ripartenza post Covid e il buon utilizzo delle risorse pubbliche, anche europee, potrebbe essere impiegato per dotare il Paese di quelle infrastrutture tecnologiche, fisiche e di conoscenza capaci di innalzare gli indicatori di competitività territoriale. Già da anni, a prescindere dalla pandemia, in distretti come quello delle Alpi Marittime in Francia o in Sassonia nelle aree intorno a Chemnitz, per fare gli esempi positivi, sono esponenzialmente aumentati gli investimenti, con un ruolo guida pubblico che è stato capace di attrarre il triplo del valore di investimenti solo privati. L’effetto moltiplicatore dell’industria culturale e creativa italiana inserita in questo nuovo paradigma economico può fare da volano alla rinascita produttiva italiana, grazie ad un protagonismo proprio di quelle aree e di quei borghi spesso abbandonati. A patto che non vengano lapidate le tante risorse in arrivo dall’Europa. Se è vero che Cultura e Turismo non saranno più come li abbiamo conosciuti sino all’inizio del 2020, ciò non vuol dire che non vi possa essere una redistribuzione territoriale e meglio gestita dei flussi, delle risorse e delle competenze.
I rischi di spreco sono molto concreti, specie se prevarranno logiche di distribuzione a pioggia di finanziamenti non vincolati all’orientamento necessario del tessuto produttivo verso l’innovazione e l’investimento in tecnologie; o peggio ancora se si chiuderanno gli occhi dinanzi a processi di trasformazione sistemica che la pandemia ha solo accelerato, ma non determinato, preferendo un comodo ma illusorio ritorno ad un passato oramai definitivamente superato dalla storia. Proprio nel momento di massima crisi, la sfida duplice su cui si basa la prospettiva di crescita, passa sia della costruzione di una nuova Europa, che a fronte di meccanismi decisionali efficaci possa rafforzare la democraticità diretta dei suoi organi costituzionali; sia del nuovo ruolo dello Stato, regolatore sì, ma non indifferente ai cicli economici in corso, capace di intervenire per affermare quel “whatever it takes” autorevolmente affermato dall’ex Governatore BCE Mario Draghi. In questo contesto imprescindibile, l’Italia, che gode di un indiscutibile vantaggio concorrenziale dato dal suo patrimonio, dovrà vincere la sfida dell’efficienza e della contemporaneità, dando centralità all’industria creativa come motore di crescita. Al di là della retorica, manca ancora la consapevolezza di tale centralità che sarebbe la base per giustificare scelte coraggiose orientate al sostegno di investimenti produttivi da tenere ben distinti rispetto ai sussidi da erogare. Riforme strutturali non più rinviabili vanno attuate non solo per superare anacronistiche rendite di posizione, ma per accompagnare la costruzione di un modello di sviluppo innovativo e competitivo che lega inesorabilmente cultura, turismo e commercio. Entro questa prospettiva, borghi e piccoli centri hanno l’opportunità di essere protagonisti di una stagione di crescita, tasselli essenziali di un ecosistema produttivo efficiente e tecnologicamente avanzato. Per spezzare questo effetto “Golconda”, questa epoché termine greco che indicava l’interruzione del normale flusso del tempo, creando un effetto di sospensione che accompagna la trasformazione verso una nuova era. Occorre dunque riconoscere le connessioni tra gli “uomini sospesi” del dipinto di Magritte, Golconda appunto, concentrando l’attenzione sulla rete di sguardi che unisce i protagonisti del quadro; sarebbero così molto più evidenti e distinguibili i volti di ognuno. E chissà che anche il perfetto distanziamento possa progressivamente ridursi fino a diventare un ricordo del passato.