di Massimo Gottifredi, Direttore CulTurMedia Legacoop
(da LuBeC 2021)
La prima considerazione che mi sento di fare riguarda la necessità di rilanciare il percorso normativo per il riconoscimento delle Industrie Culturali e Creative. Percorso che si è fermato in Parlamento da diverso tempo ormai e non consente l’evoluzione di un approccio europeo ai temi dello sviluppo culturale. Cosa piuttosto bizzarra se si considera l’incidenza del fattore culturale nel nostro Paese in rapporto a tutti gli altri paesi del mondo.
Non stiamo facendo quel passaggio necessario verso una vera e propria politica industriale per la cultura che è necessaria per affrontare le sfide di una crescita resa oggi possibile dagli investimenti del PNRR. Un approccio moderno, e tempestivo, alle politiche culturali avrebbe avuto migliori effetti anche nella gestione della crisi derivata dalla pandemia. Nei nostri settori, per l’esperienza delle cooperative, i cali di fatturato hanno raggiunto percentuali intorno al 60% (con livelli diversi tra turismo, più colpito e comunicazione ed editoria, che ha retto meglio il colpo) e il sistema dei ristori è stato organizzato intorno ad un criterio nostro, italiano e desueto, del tutto originale e diverso dai sistemi europei più evoluti che riconoscono le Industrie Culturali e Creative: il criterio dei codici ATECO che non è più capace di rappresentare la realtà delle imprese che non possono più essere descritte (e circoscritte) efficacemente intorno ad un numero che non rappresenta la complessità, l’articolazione e la trasversalità delle attività delle imprese. La multisettorialità risponde a nuove necessità delle imprese che stanno da tempo compiendo passi verso una sempre maggiore ibridazione del proprio lavoro adottando una logica integrata di sviluppo per il futuro.
Il riconoscimento delle Industrie Culturali e Creative aiuta a definire questo nuovo spazio trasversale di attività che le imprese riempiono di contenuti, prodotti, servizi ad un mercato in continuo mutamento. Permette anche di distinguere la dimensione imprenditoriale da quella occupata dal terzo settore che non sono la stessa cosa, che non sono e non devono essere conflittuali, che tendono ad essere complementari. Il riconoscimento delle Industrie Culturali e Creative ha effetto anche sul PNRR perché ci porta a considerare elementi per lo sviluppo anche di tipo non strutturale, connessi alla gestione, alla parte immateriale, al software che consente di far “girare le macchine” creando i presupposti per la valorizzazione durevole degli investimenti nella riqualificazione strutturale. Va bene, quindi, ristrutturare i luoghi della cultura ma va altrettanto bene spendere risorse e attenzione alle ipotesi di gestione che consentono la programmazione delle attività e l’utilizzo del Patrimonio e dei Beni Comuni che il nostro paese offre.
Gestire l’intera filiera, dalla riqualificazione alla gestione permette una visione d’insieme che garantisce la sostenibilità dei progetti lo sviluppo dei quali, a parer nostro, passa attraverso una logica di co-progettazione, partecipazione e coinvolgimento delle persone del posto che ne determina anche il potenziale di mercato e il carattere della distintività. Patrimonio culturale e co-progettazione rappresentano la direzione di marcia da tenere per la piena valorizzazione dei beni pubblici e delle imprese. Pubblico e privato, quindi, che si tengono insieme in una rinnovata dimensione collaborativa, cooperativa direi, in un’azione che beneficia entrambi. La possibilità esiste già nelle norme che disciplinano i partenariati speciali pubblico/privato previsti dall’art. 151 c. 3 del Codice dei contratti pubblici. La possibilità non solo esiste ma in diversi casi ormai si sta diffondendo come nuovo modello di relazione a lungo termine di senso collaborativo e non competitivo, capace di innescare investimenti privati sul patrimonio e una programmazione gestionale con una visione ampia dello sviluppo e una capacità rapida di adattarsi ai mutamenti.
Nuovi modelli questi dei partenariati che rispettano le differenze tra attori pubblici e imprese private lasciando a queste ultime il rischio di impresa, che non è mestiere delle Istituzioni pubbliche, ma in un quadro nel quale ci sono le condizioni per investire, prendersi cura nel tempo del bene e garantire la sostenibilità. Partenariati e co-progettazione rappresentano anche il futuro applicato nelle previsioni per la collocazione dei Fondi di Coesione Europei per il nuovo settennio di programmazione 2021_2027.
Nella programmazione comunitaria, per la prima volta, il fattore “cultura” è considerato valore trasversale a tutti e cinque gli obiettivi definiti ancorando e contaminando positivamente tutta l’azione europea per lo sviluppo di un migliore livello di benessere e di civiltà per le nostre genti. Transizione green, transizione digitale son percorsi qualificati dalla connotazione culturale che da senso allo sforzo impiegato dalle Istituzioni europee nella ricerca di una dimensione identitaria della crescita che non sarà solo economica ma anche sociale, inclusiva, sicura. Che crea valore e lavoro, quindi, lavoro che è fattore che definisce il carattere delle imprese cooperative che sono realtà il cui fine non è il lucro ma la creazione di condizioni durevoli e migliori di impiego.
Ciò non toglie che le cooperative siano imprese, che stanno sul mercato e affrontano quotidianamente i cambiamenti della domanda che adotta nuovi e diversi paradigmi di consumo; paradigmi mutati in modo particolarmente marcato nei settori della cultura e in quello che definisco “una fonte di finanziamento per il paese” che è il turismo. Un’ultima riflessione riguarda proprio il turismo. Si da troppo per scontato che il Patrimonio culturale, naturalistico, paesaggistico, ecc. di per sé stesso generi attrattività turistica senza considerare che tra l’offerta e la domanda potenziale del viaggiatore occorre organizzare un sistema efficiente di servizi capace di una lettura costante delle evoluzioni dei mercati e di ricerca dei canali appropriati per raggiungerli con la promo-commercializzazione dell’offerta.
Occorre organizzare i sistemi territoriali per competere in un mercato dove le destinazioni si affollano rivendicando spazio e attenzione, giocando la carta della propria cultura, dell’identità e del genius loci che ne determina l’originalità, dell’autenticità delle esperienze proposte. Tutti fattori necessari ma non sufficienti se non coordinati da strumenti professionali che garantiscono la costruzione di reti, la partecipazione della gente del luogo, a formazione di nuove competenze e la promozione integrata con le regioni che in materia di turismo hanno competenza esclusiva grazie alla previsione costituzionale del Titolo V.