di Maria Grazia Mattei, Fondatrice e Presidente MEET Digital Culture Center
Devo dire che è già sorprendente l’immersione in questa sala, con voi qui al LuBeC. Penso che sia un appuntamento importantissimo e ricco. Io per prima ho appreso davvero molto dagli interventi precedenti, pur praticando molto i mondi virtuali, digitali da anni. Dunque pur avendo assimilato un certo tipo di cultura, mi rendo conto che la realtà supera qualsiasi percorso personale, per quanto approfondito e costante.
I miei complimenti a tutte le società che hanno mostrato di essere una realtà molto vivace anche qui in Italia mentre sappiamo che all’estero c’è molto dinamismo da tempo. Hanno iniziato a incentivare scambi e progetti internazionali molto prima di noi. La nostra scena evidentemente oggi non è da meno e lo dico con grande soddisfazione: è incoraggiante scoprire tanto potenziale in casa! Mi rendo conto inoltre che in poco tempo (ero qui anche lo scorso anno) si è finalmente innescato un processo di apertura verso quella che definisco “ cultura digitale”. Mi piace molto questa panoramica di uno “state of art” tecnologico in continua evoluzione, ma la vera sorpresa per me in questo summit, è notare che l’accento sulle nuove tecnologie si sta spostando sempre di più su altri livelli: la necessità di sviluppare un pensiero progettuale per la creazione di iniziative per cui vengono scelte determinate tecnologie però sulla base di obiettivi definiti; e poi il tema della finalità educativa delle opere digitali, per porre la giusta attenzione, come ha detto Giulierini nel suo intervento, alle persone e per non rincorrere banalmente l’effetto “WoW” nei musei, come spesso è successo.
Il mondo dei beni culturali mi sembra molto più recettivo in questo senso. Tra l’altro, apro e chiudo parentesi, il Ministro Franceschini ha creato il Museo dell’Arte Digitale, forse anche per alimentare e soddisfare questa domanda di innovazione. Nascerà a Milano vicino a MEET e da questa sinergia, si spera potranno nascere progetti e interventi interessanti per il nostro Paese.
Due parole per chi non conoscesse MEET: è un progetto nato ormai otto anni fa da una mia idea con il sostegno di Fondazione Cariplo. Abbiamo completamente ristrutturato un palazzo dei primi del ‘900 insieme a Carlo Ratti per un Centro che voleva essere non solo un punto dove respirare aria e cultura digitale, ma anche un punto dove le persone potessero assumere maggiore consapevolezza del processo digitale in atto nella nostra vita come individui e come cittadini.
Da anni sostengo che il digitale non è la tecnologia, anche se la tecnologia è fondamentale, ma rappresenta un nuovo paradigma culturale: interazione, immersività, partecipazione, connessione. Sono i nuovi parametri di questa nuova cultura. Se la cultura è un insieme di simboli, comportamenti, stili, che definiscono un’epoca, noi siamo nel pieno di una grandissima trasformazione, di una dimensione in cui siamo chiamati ad agire. Chi ha il compito di trasmettere contenuti, deve non solo occuparsi di valorizzazione, ma deve mettere in relazione questi contenuti con le persone, col proprio pubblico, allargando la partecipazione il più possibile. Lo abbiamo visto con la tragica esperienza del Covid. Il pubblico si è ampliato, è internazionale e lo possiamo raggiungere istantaneamente solo grazie alla digitalizzazione.
Non solo quella tecnologica. Più si è diffusa la pratica della comunicazione in rete, più ci siamo resi conto che occorrono progetti adeguati ai mezzi che utilizziamo, finalizzati ai propri obiettivi ( design); occorre insomma progettare con competenza nuovi servizi. E conoscere gli scenari tecnologici e creativi che si stanno affermando con una grandissima velocità.
Questo è un altro dei grandi cambiamenti in atto nei nostri processi comunicativi, relazionali e produttivi.
MEET è un organismo, virtuale e fisico. Concepito esattamente per essere un ambiente coinvolgente: l’immersività crea coinvolgimento; la fisicità e la virtualità che convergono permettono di fruire opere destrutturate, immateriali ma anche fisiche.
MEET è un metaluogo. Interpreta ed esalta le valenze della nuova cultura attraverso i contenuti che produce, le idee, le opere, le persone che lo frequentano e che lo vivono.
Ideare uno spazio che interpreti la nuova dimensione culturale digitale non è per niente semplice: si devono fare i conti con tecnologie, cablaggi, muri di edifici storici, complessi e pre-esistenti. Non è automatico trasformare uno spazio “rigido” in uno spazio sensibile, interattivo, immersivo. Abbiamo puntato molto sulla fluidità dei contenuti aperti a chiunque per trasmettere la nuova cultura. Abbiamo creato da una parte un team di ricerca, che offre un aggiornamento continuo su tutte le tendenze digitali che si stanno delineando anche nei messa a punto di nuovi linguaggi ( VR, XR , Augmented Reality, Text to Images, AI) e d’altra parte abbiamo puntato su due aspetti in particolare per rendere questa azione adeguata, accessibile.
L’esperienza. Abbiamo un programma di incontri con artisti continuo perché anche nel mondo digitale ( e qui si apre un’ampia parentesi ) troviamo artisti, che utilizzano le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale per generare “esperienze” coinvolgenti completamente inedite dal punto di vista estetico, linguistico, creativo.. I loro progetti sono veri e propri modelli ispirativi, da vivere per poi provare a declinare varie soluzioni in altri contesti.
Il Coinvolgimento
Quando arte, scienza, tecnologia si uniscono per progetti su tematiche sociali ad esempio come la questione dell’ambiente o quella dell’inclusione, riusciamo a dare una spinta narrativa nuova che stimola molto l’attenzione delle persone. Trasmettere solo contenuti, per quanto interessanti, non basta. Ma generare cambiamenti attraverso l’emozione, fa sì che i contenuti diventino importanti come esperienza e come ricchezza personale acquisita.
I Team Lab in Giappone , ad esempio, sono effettivamente dei creativi in questo senso. Hanno saputo attivare, attraverso l’immersività nella visione e l’interazione con i contenuti, l’ immaginario delle persone e le loro opere coinvolgono tutti, ragazzi compresi. Refik Anadol, noto new media artista di origine turca, ha realizzato di recente una stanza immersiva per Casa Battlò a Barcellona dove esplora attraverso i dati dell’archivio di Gaudi, la forza e la modernità della architettura di questo grande spagnolo. Sono casi interessanti, travolgenti che raccontano un modo diverso di trasmettere contenuti e storie. Ambedue hanno riscosso un grande successo sul piano internazionale.
Come creano questi nuovi format?
Con sistemi di Intelligenza artificiale, lavorando su milioni di dati, utilizzando sofisticate tecnologie interattive, sensori etc.. Sono artisti che sperimentano continuamente i nuovi mezzi digitali, creano opere di segno nuovo e prestano spesso la loro sensibilità per valorizzare il patrimonio culturale .
Per MEET Refik ha creato una vera opera d’arte. Partendo da milioni milioni di immagini ( che sono quindi i dati) sul Rinascimento italiano, ha realizzato Renaissance Dream, un’opera site specific lavorando con machine learning e con intelligenza artificiale. L’opera invoglia a guardare il futuro, ma prende spunto dalla nostra storia, dalla nostra memoria, in particolare dalla nostra arte. E’ un omaggio alle nostre radici.
Tutto il lavoro tecnologico e digitale compreso in quest’opera non si vede: si entra in una sala immersiva e si vive questo passaggio dalla storia, al presente, pensando e sognando un futuro dove arte, scienza e tecnologia si uniscono ispirati dal nostro Rinascimento.
Ci sono altre modalità di diffusione della storia dell’arte come la mostra digitale su Van Gogh. Si tratta di produzioni straordinarie che hanno un livello altissimo di professionalità e talvolta sono anche originali nella loro formulazione. Ma non sono l’unico esempio possibile. Troviamo tante altre soluzioni d’utilizzo del digitale per comunicare, coinvolgere, immergere il pubblico in esperienze che non dimenticheranno mai.
La Realtà Virtuale, anzi il Metaverso come oggi viene definito, rappresenta un’altra grande opportunità per il nostro patrimonio culturale. Si stanno generando musei specifici per opere dematerializzate, gallerie che connettono artisti e pubblico a livello globale. Lo sviluppo del WEB3 (blockchaine, NFT, etc.. ) ci porterà ad entrare sempre più in ambienti virtuali per esporre ma anche per intrattenere e formare sempre cercando nuove modalità di relazione e di comunicazione soprattutto ( ma ormai non solo) con le giovani generazioni. Ma l’uso della realtà virtuale dispiega anche altre potenzialità, come quella di coinvolgere tante persone in esperienze fisico/virtuali , in performance interattive … Qualcuno si ricorderà l’epoca di Second Life. Ecco siamo ancora dentro ambienti virtuali ma con una fluidità e immediatezza inimmaginabili a quell’epoca. Ero parte della giuria nella sezione VR alla Biennale Cinema di Venezia del 2021. Con la piattaforma VRChat ci siamo connessi con centinaia e centinaia di persone per seguire spettacoli e dibattiti con artisti, autori, registi. Oggi si contano più di 200 piattaforme di Metaverso, alcune di queste sono frequentate da milioni di persone. E’ un fenomeno in grande sviluppo e di grande utilità non solo per il mondo dei Beni Culturali.
La realtà virtuale di oggi è social, significa condividere con altri esperienze attraverso contenuti condivisi ma tutto ciò comporta una maggiore creatività e cultura da parte di chi progetta e di chi la usa.
È compito nostro portare senso in questi mondi, altrimenti rimangono luoghi frequentatissimi, ricchi di contenuti, ma tanto vuoti.
Intervento da LuBeC 2021, Convegno “Immersività: istruzioni per l’uso nell’universo della cultura”