di Simone Arcagni, scrittore italiano e Professore Associato dell’Università IULM di Milano
“Sono interessata alla dinamica complessa attraverso la quale l’Universo Computazionale funziona simultaneamente come strumento e come metafora nelle pratiche tecniche e artistiche, dinamica che è insieme causa ed effetto di loop discorsivi che si intrecciano gli uni con gli altri, e con i diversi significati della computazione come tecnologia, come ontologia e come icona culturale.”
Così Katherine N. Hayes puntualizza già nel 2005 nel suo saggio My Mother Was a Computer. E non si potrebbero trovare parole più efficaci per dimostrare che il digitale (e l’IA) non vanno trattati come oggetti bensì come funzioni che trovano in alcuni dispositivi il mezzo di atterrare, e che allo stesso tempo fungono da snodo di scambi simbolici, generati e generanti immaginari. Il digitale (e quindi l’IA come avanguardia del digitale, ma soprattutto come più emblematico sistema digitale) si sostanzia così come funzione e come “spirito” che si muove attraverso i secoli e che è il risultato di pensieri, narrazioni e pratiche. Uno snodo che si definisce per una tendenza matematica al pensare, quella “mente euclidea” di cui parla Dostoievskij e che appare e riappare più volte nella storia del pensiero a partire dall’atomismo di Democrito. Una forma di pensiero che predilige il discreto all’analogico (pensiero e non “per forza” e “soltanto” tecnologia) che si insinua come calcolo e si avvia verso l’automazione. Un pensiero che gli artisti possono praticare a partire dalla creazione o dall’uso di tecnologie. Gli artisti e i creativi affondano le mani in pratiche, si servono di strumenti, usati però per il loro peso simbolico al fine di creare metafore. E’ per questo che una tecnologia così “complice” e “siombiotica” con l’umano come l’IA ha bisogno di approcci critici di tipo culturale e di pratiche di tipo artistico.
Solo questi atteggiamenti permettono di mettere in risalto le funzioni e gli immaginari dell’IA. Di stabilire il grado di sostenibilità (attraverso le pratiche di attivismo artistico). Di considerare la questione culturale come orientata. Sottolineare il neocolonialismo della raccolta di data e il sistema ideologico. Le storie e gli immaginari (ma anche le operazioni di hacking) dell’arte definiscono il perimetro della vera o presunta accessibilità delle tecnologie e della loro democraticità. Stabiliscono l’arena dell’usabilità e pongono la questione dell’umano mettendola al centro di un tentativo di alienazione tecno-determinista che invece sembra soggiacere ai discorsi odierni.
Insomma: il tema centrale dell’IA non è tanto come è realizzata e a che fine il mercato la orienta, bensì quali dati usa, di chi sono, come li orienta, quanto sono culturalmente radicati e quanto sono ideologici. A che pro si archiviano, come, secondo quali criteri… museali, archivistici, bibliotecari. Come edifichiamo i nostri saperi e la condivisione degli stessi? Perché è questa la sfida a cui siamo chiamati con l’IA.